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Sebbene la crioterapia rappresenti un trattamento efficace nei confronti delle neoplasie come testimoniato dai risultati oncologici incoraggianti, questa per sua natura espone inevitabilmente i pazienti trattati ad alcuni rischi. La somministrazione di temperature estremamente basse potrebbe teoricamente portare all'insorgenza di complicanze intra-procedurali e post-procedurali. La conoscenza dei rischi associati ad un trattamento dovrebbe essere nota a ciascun medico che si avvicini a detta pratica, al fine di consentire una corretta valutazione dei pro e dei contro che questa può portare. Questo capitolo mette in evidenza i principali rischi attribuibili alla crioterapia nella quotidiana pratica clinica. Particolare attenzione verrà data alla alle complicanze in ambito ortopedico.

LE PRINCIPALI COMPLICANZE DELLA CRIOTERAPIA: UNA VISIONE D'INSIEME
Esponendo l'osso sano ed i tessuti molli (pelle, muscoli, nervi e vasi sanguigni) a congelamento, questi possono subire un danneggiamento più o meno marcato. Non è un caso che i primi studi sull'uso della criochirurgia nel trattamento dei tumori ossei abbiano evidenziato alti tassi di complicanze. I primi studi di Marcove e colleghi negli anni '70 con la tecnica del" versamento" o" puring technique" riportavano tassi di complicanze fino al 40%, [1,2]. Col passare del tempo, le tecnologie di raffreddamento furono perfezionate, così come gli approcci chirurgici, portando a una significativa riduzione dei tassi di complicanze locali e sistemiche. In una revisione della letteratura eseguita da Chen e coll (5) furono riportate 150 complicazioni su 991 casi pubblicati con una incidenza complessiva del 15%: tuttavia la maggior parte di questi reports si basavano sull'esperienza iniziale del "puring technique" e lo studio dimostrava anche un netto abbattimento di tale percentuale nel tempo con l'introduzione delle sonde. Studi più recenti hanno evidenziato un rischio significativamente più basso di complicanze maggiori con un rischio complessivo al di sotto del 10%. Nel 1999 Malawer et al hanno riportato un tasso totale di complicanze del 10,8% in una serie di 102 casi [3]. Nel 2021, Deckers et al hanno presentato la loro esperienza con 176 casi sempre con un rischio analogo (10,8%). Risultati ancora più incoraggianti sono stati trovati nel 2017 da Chen et al, nella cui popolazione le complicanze furono osservate in appena il 2,2% dei casi [4]. In letteratura sono state descritte complicanze sistemiche come ad esempio embolie (in particolare embolie gassose di azoto) in corso di trattamento: la loro insorgenza è eccezionalmente rara e comunque i parametri vitali si sono prontamente ripristinati all'interruzione della procedura [1-5]. La stragrande maggioranza degli effetti avversi attribuibili alla crioterapia si limita infatti a coinvolgere il tessuto trattato e quelli ad esso adiacenti [1-5]. Le complicanze più frequenti che possono verificarsi dopo la somministrazione della crioterapia possono essere classificate nelle seguenti sottocategorie:

Danno crio-indotto nei tessuti molli.
Le lesioni dei tessuti molli correlata alla crioterapia di solito si verificano entro poche settimane dall'intervento chirurgico. Sebbene tecniche chirurgiche diverse espongano in genere a rischi differenti, le possibili complicanze restano in gran parte trasversali ai vari approcci crioterapici. La necrosi cutanea può rappresentare una complicanza significativa sia nella crioablazione che nella criochirurgia open. Negli anni '70 Marcove riportò un tasso di necrosi cutanea prossimo all'8% [1, 2]. I sempre più marcati miglioramenti nelle tecnologie di raffreddamento e nei dispositivi chirurgici hanno comunque consentito una progressiva riduzione dell'incidenza della necrosi cutanea. L'irrigazione costante dei tessuti adiacenti al target con una soluzione salina calda è ritenuta fondamentale per aumentare la temperatura della pelle e del sottocute, riducendo quindi il rischio di necrosi. Nel 1999 Malawer et al hanno sperimentato 3 di queste complicanze su 102 casi di tumore a cellule giganti, per un'incidenza complessiva del solo 3% [3]. Miglioramenti significativi sono stati anche testimoniati, nel 2008, dal lavoro di Chen e collaboratori che non hanno avuto alcuna necrosi cutanea nella loro coorte di 232 casi affetti da tumore osseo [5].
Un altro potenziale effetto avverso della crioterapia è rappresentato dalla neuroaprassia: una temporanea perdita della funzione motoria e sensitiva di un nervo riconducibile al blocco della conduzione nervosa a causa del raffreddamento. Nella serie di Marcove con tumori ossei a cellule giganti e condrosarcoma di basso grado, i tassi di neuroaprassia raggiungevano anche l'11% [1, 2]. Sebbene studi più recenti abbiano riportato un'incidenza di paralisi neurologica leggermente inferiore (al di sotto del 10%) [5-7], questa problematica resta di primo piano nella pratica clinica in caso di lesioni localizzate in prossimità di importanti radici nervose o tronchi nervosi (particolarmente del nervo radiale comune nelle lesioni omerali e del nervo radiale superficiale nelle lesioni del radio distale) o di lesioni femoro-tibiali con invasione del cavo popliteo. Molte di queste lesioni sono transitorie. A tal proposito, l'uso intraoperatorio del laccio emostatico risulta avere un ruolo controverso in relazione alla neuroaprassia. Da un lato, alcuni studi hanno testimoniato che l'uso dei lacci emostatici può svolgere un ruolo nella diminuzione della circolazione locale e nell'aumento dell'effetto congelante sull'osso [1-5]. D'altra parte, gli oppositori ritengono che i lacci emostatici potrebbero promuovere la necrosi cutanea o la neuroaprassia diminuendo la vascolarizzazione della pelle e dei nervi [8]. Questi ultimi attribuiscono quindi ai lacci emostatici un ruolo prognostico negativo in termini di sviluppo sia di necrosi cutanea che di paralisi nervosa. Tuttavia, finora non è stata prodotta alcuna prova con evidente significatività statistica per corroborare tale ipotesi. Lesioni nervose permanenti possono verificarsi nelle lesioni pelviche e soprattutto sacrali in cui le radici nervose sono spesso immerse nel tumore e quindi deliberatamente criotrattate in blocco. L'uso di sonde ha permesso più recentemente un trattamento più mirato e conservativo
Un'altra minaccia è rappresentata dal rischio infettivo. La somministrazione profilattica di antibiotici per via endovenosa durante l'intervento chirurgico e nei giorni successivi è fortemente consigliata al fine di prevenire infezioni superficiali o profonde che potrebbero ulteriormente compromettere la vitalità dei tessuti criotrattati Escludendo le prime esperienze di Marcove, gravate da frequenti infezioni (oltre l'11%)[1, 2], queste sono oggigiorno abbastanza rare in crioterapia. La stragrande maggioranza degli studi attuali ha evidenziato un rischio di infezione relativamente basso, con un totale compreso tra lo 0 e l'8%. [5]. Nel 2008 Van der Geest et al hanno pubblicato uno studio che includeva 123 casi, con un tasso di infezione di solo 2,4% (3) [6]. Nel 2017, Chen et al hanno riportato la loro esperienza con ben 232 casi di tumori ossei trattati con crioterapia. Tra questi, solo 3 (1,3%) hanno avuto infezioni post-operatorie [5]. Infine, Deckers et al hanno analizzato retrospettivamente 178 casi di tumori ossei benigni e maligni trattati con crioterapia. Solo 4 (2,2%) hanno avuto un'infezione superficiale della ferita, mentre nessuno di loro ha sviluppato infezioni profonde dopo l'intervento chirurgico [4]. Le infezioni sono pertanto risultate particolarmente rare rispetto ad altri approcci chirurgici e comunque accettabili nell'ambito di una chirurgia maggiore

Danno osseo crio-indotto.
La somministrazione prolungata di temperature estremamente basse, soprattutto in caso di cicli ripetuti di gelo e disgelo, rappresenta potenzialmente una minaccia per l'integrità del tessuto osseo. In particolare, la crioterapia provoca la necrosi delle cellule ossee e la degenerazione delle fibre collagene che rappresentano la principale componente non calcifica della matrice extracellulare ossea. Un ampio danneggiamento della rete tridimensionale di collagene implica inevitabilmente una riduzione dell'elasticità e della capacità di carico dell'osso trattato. A complicare ulteriormente il tutto, la necrosi ossea causata dalla crioterapia ritarda significativamente la neo-osteogenesi riparativa all'interno dellalesione e determina una osteoporosi prolungata delle corticali , come è stato dimostrato su modelli canini [9]. La fragilità che ne deriva espone l'osso al rischio di fratture patologiche, che possono verificarsi anche a seguito di traumi a bassa energia. Questo rischio è noto dalla seconda metà degli anni '60, quando Gage e colleghi documentarono fratture patologiche in 10 dei 34 cani da loro trattati con criochirurgia (29%) [10]. Il rischio di fratture è particolarmente rilevante in quei casi trattati con crioterapia, curettage aggressivo e conseguente gap osseo esteso [4, 5]. Inoltre, le lesioni particolarmente vicine alle articolazioni sotto carico e con lesioni ad estensione extraossea sono da considerarsi a più alto rischio di frattura [11]. Il femore sarebbe il segmento più esposto a tale complicazione (14 % di fratture su 120 casi di cui la metà al femore) In circa la metà dei pazienti si evidenzierebbero nelle prime 6 settimane ma il rischio si protrae fino a oltre 1 anno(KeJiser) .Un numero eccessivo di cicli di congelamento /scongelamento sono ritenuti responsabili di un più alto numero di fratture e pseudoartrosi (15)E' accertato che almeno due cicli sono necessari per ottenere una effettiva necrosi tissutale mentre un terzo ciclo sembra non incrementare in maniera significativa l'apoptosi cellulare Quindi due cicli appaiono essere il gold standard bilanciando un buon effetto biologico e d'altra parte limitando le complicazioni (13,14,15) Al fine di ridurre l'incidenza di fratture post-operatorie nei casi con lesioni di grandi dimensioni o localizzate in prossimità di superfici articolari, diversi studi hanno promosso la fissazione profilattica dell'osso con mezzi di sintesi. Nel 2008, van der Geest e la sua equipe hanno registrato un tasso di frattura del 14% [6]. Nel loro articolo successivo, pubblicato nel 2021, la percentuale di casi che hanno sviluppato fratture patologiche era scesa a solo il 5% [4]. Gli autori hanno suggerito che la fissazione preventiva con placca avesse svolto un ruolo importante, giacché la fissazione era stata utilizzata meno frequentemente nel primo studio (8%) rispetto al secondo (31%). Ad oggi, le fratture da fragilità rappresentano ancora una delle complicanze più comuni e pericolose dopo la somministrazione della crioterapia, con tassi complessivi nella letteratura recente che oscillano tra lo 0 e il 17% [1-3, 6, 11-13].
Un ulteriore accorgimento può essere quello di colmare la cavità con cemento acrilico anziché con trapianti o sostituti ossei (che non hanno valenza meccanica immediata e richiedono un lungo tempo di rivitalizzazione) . Tale soluzione presenta diversi vantaggi:
1) ha un effetto adiuvante necrotizzando la superfice ossea di contatto (fino a1-2 mm) per il calore sprigionato durante la polimerizzazione
2) per la sua plasticità il cemento può essere facilmente compresso a riempire ogni anfratto osseo soprattutto subarticolare
3) permette un carico immediato
4) distribuisce uniformemente i carichi all'osso restante sottraendo stress meccanici ai mezzi di sintesi
5) permette una presa efficace delle viti passanti aumentando la stabilità e la resistenza dell'impianto
6) può essere miscelato con antibiotici o bisfofonati o essere vettore di farmaci
7) permette un più facile riconoscimento di eventuali recidive locali
8) può essere sempre asportato a distanza di tempo e sostituito con innesti ossei a guarigione oncologica ottenuta
Questo concetto è stato anche utilizzato estesamente nella chirurgia ricostruttiva con trapianti ossei omoplastici crioconservatiintercalari o osteoarticolari omoplastici (crioconservati a -80 °C o in Azoto Liquido) per diminuire l'incidenza di pseudoartrosi con conseguente fallimento dei mezzi di sintesi o di fratture (soprattutto nella fase di creeping-substitution). Il rinforzo con cemento è poi mandatorio nei casi di recupero e reimpianto di segmenti autoplastico dopo crio-sterilizzazione (ma anche dopo altre tecniche come autoclavaggio ,irradiazione, alcoolizzazione): in effetti in queste situazioni ai danni biologici del criotrattamento si possono associare ulteriori danni strutturali conseguenti ad erosioni o riassorbimenti ossei di tipo oncologico. Del segmento stesso

Degenerazione articolare.
Analoghi danni si possono verificare alla cartilagine articolare se tale struttura è interessata dal processo di freeze-thaw (16,17).L'incidenza di osteoartrite posttrattamento è comunque rara. Nei bambini i tumori benigni sono spesso metafisari o anche epifisari (condroblastoma):in tali casi va posta attenzione a salvaguardare per quanto possibile le cartilagini di accrescimento,per le possibili dismetrie o deformità conseguenti al loro danneggiamento. Nell'eseguire la crioterapia di tali zone si consiglia di riempire la cavità sempre con gel , utilizzare sonde di piccole dimensioni, con una distanza di 3cm l'una dall'altra ,ed inserite parallelamente alla interlinea articolare ( o alla cartilagine di accrescimento) a 15 mm dalla stessa. Durante la procedura non si devono eseguire movimenti articolari (soprattutto di flessione o estensione) fino al momento di totale scongelamento per evitare crack con fratture o fissurazioni articolari. Tuttavia nonostante questi rischi teorici, nella pratica clinica fenomeni di degenerazione artrosica articolare sono stati osservati solo eccezionalmente (1,3 %)(5) . L'effetto del cemento (elemento rigido rispetto all'osso subcondrale) posto a diretto contatto con la cartilagine articolare potrebbe teoricamente favorire tale complicazione. Alcuni AA consigliano di apporre uno strato di innesti ossei a contatto della cartilagine articolare (per riformare l'osso subcondrale ) riempiendo di cemento la cavità restante. In tale situazione venendo a mancare l'effetto adiuvante del cemento sulla cartilagine articolare diventa ancora più importante il ruolo della crioterapia nel prevenire le recidive a tale livello. Meller e coll . in una ampia casistica di 440 procedure eseguite tutte in un singolo centro (con tecnica puring fino al 1998 e quindi con criosonde) a un followup medio di 7 anni riporta un numero veramente limitato di complic azioni (1 % di fratture ,2 % di infezioni, 1.3 % di lesioni cutanee)

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