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La crioterapia si basa su un congelamento locale controllato che induce una deprivazione energetica dei tessuti. Il loro calore o energia termica viene ridotto, ottenendo gravi danni biologici. Nell'approccio moderno ai tumori delle ossa e dei tessuti molli, la crioterapia rappresenta un trattamento locale con caratteristiche peculiari rispetto agli altri approcci neoadiuvanti o palliativi di più comune utilizzo [1]. A differenza della chemioterapia, della radioterapia e di altri coadiuvanti locali, la crioterapia si basa su un danno meccanico che può colpire qualsiasi cellula tumorale, indipendentemente dal suo stato e dall'attività metabolica al momento del trattamento. Un altro vantaggio della crioterapia è quello di prevedere una mono.somministrazione, negando alle cellule tumorali l'opportunità di sviluppare qualsiasi tipo di mutazione in loro difesa. La riduzione della temperatura all'interno dei tumori induce una necrosi diffusa della regione interessata, soprattutto nell'area limitrofa alla fonte di congelamento. Nella crioablazione, in particolare, la formazione della cosiddetta "ice ball" (un'area circolare di tessuto ghiacciato che si forma all'estremità della criosonda) ha esito assolutamente letale sui tessuti in cui si sviluppa, soprattutto quando la procedura viene eseguita con due o più cicli. Tuttavia, il danno criomediato non si limita alla ice ball stessa. Sebbene l'efficacia della crioterapia diminuisca man mano che ci si allontani dalla sonda, i suoi effetti possono essere letali fino ad alcuni centimetri dalla sorgente del raffreddamento [2.4]. Comunemente, l'intento del trattamento criochirurgico è quello di distruggere i tessuti bersaglio, come le neoplasie, preservando le aree sane circostanti. Poiché il danno tissutale è direttamente associato alla quantità di energia termica sottratta al sistema bersaglio, gli operatori sono chiamati a fornire energia sufficiente per indurre un danno tissutale significativo, ma al contempo rispettare i tessuti sani vicini per ragioni funzionali ed estetiche. Lesioni criogeniche minori producono solo una risposta infiammatoria, mentre insulti criogenici maggiori possono determinare una massiccia distruzione tissutale. Per convenzione, l'entità di energia (tarata sulla base della temperatura erogata e del tempo del trattamento) necessaria e sufficiente per garantire la morte delle cellule bersaglio vinee detta "dose letale" [1.4]. Dall'introduzione della crioterapia nel trattamento del cancro, la temperatura ideale e i tempi di somministrazione sono stati ampiamente dibattuti. Nel 1964 Cooper fissò quale dose letale standard per le cellule tumorali una temperatura di .20°C mantenuta per 60 secondi. Tale trattamento era considerato efficace al fine di promuovere una necrosi pressoché completa nel tessuto bersaglio [5, 6]. Negli anni che seguirono, Neel et al (1971) [7] e Staren et al (1997) [8] fissarono il loro target a temperature più basse, rispettivamente di .60°C e .70°C. Tuttavia, trattandosi di studi in vitro, i loro articoli non prendevano in alcun modo in considerazione i possibili danni dei tessuti circostanti. I primi esperimenti e teorie sul danno criomediato erano infatti basati su studi in vitro e sperimentazione animale. Nei decenni successivi la letteratura vide il fiorire di un'ampia varietà di studi in vitro e in vivo che fissarono la temperatura ottimale accettata a .40°C. Questo cambiamento era dovuto alla nozione che piccoli volumi di acqua "delle dimensioni di una cellula" andassero incontro a cristallizzare proprio vicino a .40°C. Di conseguenza, una riduzione dell'energia termica di tale entità è sufficiente a garantire il massimo grado di danno cellulare locale, limitando al contempo al minimo i rischi non necessari nei confronti dei tessuti limitrofi. Oggi, infatti, si ritiene che mantenere la temperatura a .40°C per alcuni minuti rappresenti di per sé una più che corretta dose letale [3, 9.11]. Da un punto di vista biochimico e citologico, si suppone che gli effetti della crioterapia siano regolati da una serie di differenti meccanismi in grado di indurre e amplificare il danno cellulare.

MECCANISMI DI DANNO CELLULARE E TESSUTALE

Da quando la crioterapia è stata definitivamente introdotta nel panorama medico negli anni '60, si è assistito ad una comprensione sempre più profonda dei suoi meccanismi di danno. La crioterapia viene somministrata in cicli composti da due fasi diverse e sequenziali: una fase di congelamento (in cui il tessuto bersaglio viene raffreddato rapidamente) ed una successiva fase di scongelamento (in cui la temperatura del sistema si ripristina lentamente). Le lesioni tissutali crioindotte sono il risultato di meccanismi di danno che si verificano sia durante la fase di congelamento che di scongelamento. Infatti, ciascuno di questi due passaggi è responsabile di diverse alterazioni citologiche e istologiche in grado di minare l'omeostasi cellulare e la funzionalità dei tessuti [1.7]. In generale, gli effetti distruttivi della criochirurgia possono essere dovuti ad una serie di fattori che potrebbero essere raggruppati in due meccanismi principali: uno immediato e l'altro ritardato.
Danno da congelamento
Durante la fase di congelamento, il freddo compromette progressivamente le strutture cellulari interne e superficiali, a causa di alterazioni dell'architettura tridimensionale di alcune macromolecole. Tra gli altri, gli enzimi subiscono una drastica riduzione delle loro prestazioni a causa dell'insufficiente quantità di energia termica di cui risulta disporre il sistema cellulare. I lipidi di membrana, dal canto loro, perdono gran parte della loro mobilità reciproca, con la membrana nel suo insieme che diventa più rigida e quindi più esposta a danni di natura meccanica. A temperature particolarmente basse, si formano cristalli di ghiaccio sia all'interno che all'esterno delle singole celle [3, 4]. La formazione di cristalli di ghiaccio avviene prima negli spazi extracellulari. è stato dimostrato che la formazione di cristalli al di fuori delle membrane plasmatiche avviene al di sotto dei .15°C. La riduzione dell'acqua disponibile nel compartimento extracellulare (trasformata in ghiaccio) crea immediatamente un gradiente osmotico. La mancanza di acqua dal sistema crea un ambiente extracellulare iperosmotico, che a sua volta richiama l'acqua dalle cellule e sottopone a forte sollecitazione le membrane plasmatiche. La riduzione dell'acqua allo stato liquido aumenta poi la concentrazione di soluti intracellulari e produce deleteri disturbi metabolici in un processo denominato "effetto di soluzione". Infine, l'aumento della concentrazione di elettroliti è di per sé sufficiente per indurre uno shock metabolico e distruggere le cellule. I cristalli adiacenti alla superficie delle cellule possono inoltre minacciare direttamente la loro integrità, con le loro forze di taglio che possono causare danni fatali alla membrana plasmatica (danno meccanico). Si suppone che quest'ultimo meccanismo di danno svolga un ruolo fondamentale nel danno locale soprattutto nei tessuti altamente organizzati, come i muscoli [4, 9, 12.15]. Con un ulteriore raffreddamento, si formano cristalli di ghiaccio anche all'interno delle cellule. La privazione dell'acqua allo stato liquido, questa volta all'interno del citoplasma, porta la cellula a una grave disidratazione con associato danno osmotico. Poiché l'acqua non può lasciare la cellula abbastanza velocemente per equilibrare i compartimenti intracellulari ed extracellulari, la formazione di cristalli di ghiaccio intracellulare provoca un danno meccanico diretto e potenzialmente letale alla membrana plasmatica e agli organelli citoplasmatici. La cristallizzazione dell'acqua intracellulare pone un'ulteriore minaccia alla funzionalità di numerosi enzimi, già sofferenti per le basse temperature, portando alla disfunzione o addirittura alla completa perdita di vie metaboliche necessarie per la sopravvivenza delle cellule (danno metabolico)[4, 15.21]. Un altro effetto della crioterapia è mediato dal suo impatto sulle strutture vascolari. Quando i piccoli vasi che irrorano l'organo coinvolto subiscono un drastico calo delle temperature, le loro pareti possono subire un grave danno e potenzialmente una rottura. In altri casi, soprattutto per la circolazione arteriosa e le vene di grandi dimensioni, il congelamento può indurre una condizione di stasi intraluminale che può favorire l'insorgenza di necrosi nella successiva fase di disgelo. Alcuni studi hanno riportato che i vasi possono anche svolgere un ruolo nella rapida propagazione del congelamento all'interno del tessuto, con i liquidi all'interno dei loro canali che fornirebbero un percorso di ridotta resistenza alla propagazione del freddo [3, 4, 22.28]. Complessivamente, il congelamento può determinare la lisi diretta delle cellule forzandone la deformazione esterna ed interna, la rottura della membrana plasmatica ed il collasso metabolico. è importante puntualizzare che il ruolo del congelamento non si limita al danno cellulare immediato, che va piuttosto visto come il primo di una catena di eventi pensati per minare l'omeostasi tissutale preesistente e fornire uno shock termico localizzato.
Danno da scongelamento
Mentre nella letteratura del XX secolo la formazione di ghiaccio intracellulare veniva considerata la principale causa di danno criomediato, le fonti più moderne hanno sottolineato l'importanza dello shock metabolico che si verifica durante la fase di scongelamento. Terminato il congelamento, le temperature aumentano e l'attività metabolica delle cellule riprende gradualmente. Questo fa emergere le conseguenze dei danni e delle alterazioni indotte dal gelo. Durante le prime fasi dello scongelamento, i cristalli di ghiaccio si fondono per formare temporaneamente conglomerati più grandi in un processo chiamato "ricristallizzazione". Lo scioglimento del ghiaccio rende l'ambiente extracellulare brevemente ipotonico. Il risultato è che l'acqua entra nelle cellule già danneggiate e ne induce un aumento volumetrico incontrollato fino alla rottura delle membrane cellulari [1.5, 9, 15]. Le cellule che hanno subito danni intracellulari o di membrana irreparabili sono costrette all'apoptosi. è stato dimostrato che l'apoptosi intrinseca (mediata dai mitocondri) ed estrinseca (correlata alla membrana cellulare) induce la morte cellulare a seguito di lesioni criogeniche. Sebbene si ritenga che ciascun meccanismo svolga un ruolo significativo in molti casi, alcuni studi in vitro hanno enfatizzato in particolare il ruolo delle vie apoptotiche legate alla membrana nel determinare la morte cellulare dopo congelamento [3, 4]. Si ritiene che il danno mitocondriale criomediato attivi le cascate delle caspasi, dando il via alla morte cellulare programmata. L'interruzione della normale funzione dei mitocondri attraverso l'influenza delle proteine della famiglia Bcl.2 è fondamentale per indurre la morte cellulare apoptotica. Inoltre, diversi studi in vitro hanno riportato subito dopo lo scongelamento un significativo aumento dei valori della proteina citoplasmatica pro.apoptotica Bax. Mentre la sovraespressione di Bcl.2 in molte linee tumorali le protegge da varie strategie terapeutiche, inclusi alcuni agenti chemioterapici, la sua sovraespressione non fornisce in alcun modo protezione al danno cellulare termo.mediato. Questo riscontro potrebbe supportare l'efficacia della crioterapia come terapia adiuvante prima o durante l'intervento chirurgico, danneggiando linee cellulari che potrebbero invece essere resistenti alle più comuni chemioterapie o adiuvanti locali. Si ritiene che il ruolo dell'apoptosi sia particolarmente significativo nelle zone periferiche, meno interessate dai danni immediati della fase di congelamento. Questo, di fatto, estende il raggio d'azione della crioterapia ben oltre l'ice ball [3, 29.33]. Spostando l'attenzione dalla singola cellula al tessuto nel suo insieme, la fase di scongelamento è caratterizzata da diffuse alterazioni vascolari, causate sia dalla rottura di capillari che dalla stasi intraluminale di vasi di calibro maggiore. Queste alterazioni si traducono in una ridotta perfusione in un tessuto già sofferente, aumentandone la tendenza all'ischemia, all'infiammazione e alla necrosi. Gli effetti di queste alterazioni sono così drammatici che la perdita di circolazione e l'anossia cellulare sono comunemente considerati il principale meccanismo di danno nella moderna criochirurgia. Il danno criomediato sulle cellule endoteliali del microcircolo vascolare determina da un lato l'attivazione piastrinica con conseguente formazione di trombi, dall'altra un grave stravaso dei fluidi che scorrono all'interno del vaso [1.5, 34. 36]. Come riportato da Rupp e colleghi [37], la trombosi crio.indotta riduce la perfusione e provoca uno stato di ischemia che porta ad una ancor maggiore morte cellulare. L'ischemia induce il rilascio di mediatori vasoattivi, con conseguente arrivo di un gran numero di cellule infiammatorie. Nel giro di poche ore l'enorme stravaso lascia quindi il posto a edema e infiammazione locali. Il danno endoteliale si traduce in una maggiore permeabilità della parete capillare, una intensa aggregazione piastrinica e nella tendenza alla formazione di microtrombi; portando a ristagno della circolazione in meno di 1 ora. Gran parte dei piccoli vasi sanguigni viene completamente occlusa da trombi entro 4h dallo scongelamento. Contemporaneamente, l'esteso danno vascolare innesca una cascata coagulativa che culmina in uno stato di necrosi coagulativa. Tutto ciò si traduce in una distruzione cellulare massiccia ed estesa, mentre l'architettura extracellulare del tessuto viene preservata, almeno in parte [8. 38.40]. Nella tabella 1 riportiamo un riepilogo schematico dei principali meccanismi di danno attribuibili alla crioterapia.

Tabella 1: Meccanismi di danno suddivisi per fase (congelamento / scongelamento) e sede (intracellulare / extracellulare).

MECCANISMO DI DANNO FASE SEDE NOTE
Riduzione della fluidità ed aumento della rigidità della membrana plasmatica Congelamento Intra cellulare Causata da una ridotta mobilità reciproca tra lipidi e/o proteine
Disfunzioni enzimatiche Congelamento Intra cellulare Causata da alterazioni tridimensionali e deficit energetici
Cristallizzazione extracellulare Congelamento Extra cellulare Si verifica a temperature più alte rispetto a quella intracellulare. Causa stress meccanici sulla superficie cellulare e causa l'"effetto di soluzione"
Cristallizzazione intracellulare Congelamento Intra cellulare Si verifica a temperature più alte rispetto a quella extracellulare. Causa disidratazione con conseguente danno osmotico
Danno vascolare Congelamento Extra cellulare Induce necrosi nelle aree irrorate dai vasi danneggiati
Danno vascolare Scongelamento Extra cellulare Associata a trombosi intraluminare e stravaso massivo, con possible sviluppo di necrosi coagulativa
Apoptosi Scongelamento Intra cellulare Può essere intrinseca (mitocondriale) o estrinseca (di membrana). Porta a shock metabolico


Rimodellamento dopo la crioterapia
Una volta eseguita la crioterapia, le lesioni criogeniche si presentano con un'area congesta più o meno estesa di necrosi centrale, circondata in periferia da orletto sottile ed iperemico. Nei giorni successivi al trattamento, l'abbondante necrosi provoca il rilascio di una grande quantità di citochine e chemochine. Queste favoriscono l'arrivo di cellule infiammatorie che danno il via al processo di riparazione tissutale. Con la flogosi, il tessuto danneggiato viene raggiunto da un gran numero di cellule, fattori di crescita e nutrienti. Nelle aree necrotiche, i detriti cellulari vengono fagocitati da monociti e macrofagi accorsi nell'area. Il tessuto necrotico viene quindi lentamente rimosso e sostituito da una cicatrice fibrosa. A differenza del riscaldamento, che non genera una netta demarcazione dell'area interessata e provoca un progressivo allargamento del confine nei giorni e nelle settimane successive al trattamento, la crioterapia lascia dei confini ben circoscritti e demarcati che costituiscono una barriera funzionale e strutturale tra l'area trattata e i tessuti sani che la circondano. Inoltre, mentre il calore comprometterebbe l'architettura dei tessuti carbonizzandoli, la crioterapia preserva l'architettura nativa della matrice extracellulare. Essendo più rispettosa del tessuto coinvolto, la crioterapia offre una corretta e rapida guarigione nelle settimane e nei mesi successivi al trattamento [1.5, 8, 22.28].

UN CENNO ALLE ALTERNATIVE COME ADIUVANTI LOCALI

In caso di lesioni localizzate, la crioterapia può essere utilizzata, da sola o a corollario di escissione chirurgica, sotto forma di crioablazione. In questo scenario, la crioablazione rappresenta un approccio terapeutico affidabile ed efficace per lesioni sia benigne che maligne. Tuttavia, nonostante risultati promettenti, la crioterapia non è certo l'unico adiuvante locale disponibile sul mercato. Il paragrafo che segue riporta alcuni degli adiuvanti locali più utilizzati in chirurgia ortopedica, con una breve descrizione delle loro caratteristiche e peculiarità.
Ablazione con radiofrequenza
L'ablazione con radiofrequenza è tra le forme di ablazione termica più utilizzate. Gli elettrodi ad ago, posizionati dentro o intorno alla lesione, aumentano la temperatura locale fino a 50°C. La corrente elettrica nella gamma delle radiofrequenze (da 4 a 500 Hz) provoca un riscaldamento resistivo che danneggia i tessuti. Questo metodo è considerato efficace in particolare per lesioni di dimensioni inferiori ai 3, mentre la sua efficienza diminuisce per tumori più grandi. In letteratura è stata evidenziata una buona efficacia in particolare per il trattamento di metastasi ossee e metastasi dolorose dei tessuti molli. Tuttavia, i chirurghi che scelgono questo approccio devono tenere in considerazione che, con questa tecnica, la trasmissione del calore non ha limiti all'interno del tessuto bersaglio. In tal modo, l'energia potrebbe dissiparsi nei tessuti circostanti e comprometterli al pari della lesione [3].
Ablazione con microonde
L'ablazione con microonde crea calore eccitando le molecole d'acqua. Aumentando l'energia cinetica del sistema ed aumentando la temperatura dei tessuti fino a 150°C, vengono cagionati gravi danni alle aree bersaglio Sebbene efficace, la potenza delle microonde può causare effetti collaterali indesiderati su altri tessuti, quali ascessi, emorragie e perforazione di organi cavi [45].
Laserterapia
La laserterapia agisce rifrangendo la luce laser sulla massa tumorale, con un bombardamento di protoni che produce calore ed induce un quadro di necrosi coagulativa. La tecnica consiste nell'inserimento per via percutanea di sonde che raggiungano il centro della neoplasia e richiede il monitoraggio costantemente della temperatura alla periferia del tumore. L'energia laser viene erogata fino ai 60°C, temperatura alla quale i tessuti sono inevitabilmente soggetti a danneggiamento [3, 46].
Coadiuvanti alcolici
I coadiuvanti alcolici possono essere somministrati con iniezione percutanea o aperta. Gli alcoli tolgono l'acqua dalle cellule, inducendo una grave disidratazione e conseguentemente la distruzione cellulare. Questo approccio adiuvante può essere utilizzato da solo o in associazione con uno o più di quelli sopra elencati. Talora si può ricorrere a somministrazioni multiple, a seconda delle dimensioni del tumore [3, 47, 48].
Fenolo
Le soluzioni di questo composto organico aromatico sono state ampiamente utilizzate in oncologia ortopedica, in particolare per i tumori a cellule giganti dell'osso. Somministrato localmente, il fenolo induce un effetto tossico con induzione di necrosi (immediata) ed apoptosi (differita). Il fenolo può essere adatto per il trattamento di piccoli detriti cellulari residuati dopo curettage intralesionale, mentre non è adatto per il trattamento di masse tumorali ancora integre [49].

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