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PROCEDURE COMPLESSE: Tcg, Crio e Denosumab

Generalità. Il tumore a cellule giganti è un tumore benigno, usualmente dell'adulto, che si localizza preferibilmente nelle zone meta-epifisarie delle ossa lunghe, talora interessa la pelvi o le vertebre. Raramente può dare localizzazioni secondarie polmonari ed eccezionalmente essere multicentrico all'esordio. Questo tumore presenta una importante aggressività locale. Secondo Campanacci-Enneking esistono tre varianti clinico-radiografiche: stadio 1 (inattivo), stadio2 (attivo) stadio 3 (aggressivo). L'incidenza delle recidive locali varia dal 27 al 65 % dopo semplice curettage, dal 12 al 27 % dopo curettage e adjuvanti locali, dallo 0 al 12 % dopo resezione in blocco [1-5]. Il TCG è costituito da cellule giganti simili a osteoclasti che esprimono il recettore attivatore del fattore nucleare-kappaβ (RANK) e cellule stromali neoplastiche che esprimono il ligando RANK (RANKL); RANKL è una parte indispensabile nella patogenesi del TCG. Denosumab è un anticorpo monoclonale umano diretto contro il RANK ligando (RANKL) che quindi inibisce l'interazione RANK-RANKL, mediatore chiave dell'attività degli osteoclasti, con conseguente riduzione del riassorbimento dell'osso indotto dagli stessi. L' individuazione di cellule giganti nel TCG che esprimono RANKL portò all'applicazione clinica del denosumab dapprima nel trattamento dei tumori non operabili. Un primo studio di fase II Thomas et al. [6], riportò una risposta al trattamento nell'86 % (30 / 35) , definita come eliminazione di almeno 90% delle cellule giganti alla valutazione istologica o mancanza di progressione radiologica della lesione: limiti dello studio erano la piccola dimensione del campione e il fatto che solo una piccola parte dei pazienti fu sottoposto a curettage dopo denosumab. Un secondo studio di fase II (282 pazienti) confermò l'efficacia e la sicurezza del denosumab nel TCG [7]: 163 dei 169 pazienti non operabili (96%) non dimostrò progressione di malattia dopo il trattamento (coorte 1); su 100 pazienti candidati a chirurgia programmata (coorte 2), 16 pazienti su 26 furono sottoposti ad intervento meno invasivo rispetto a quello originariamente programmato e il 74% dei pazienti non ebbe alcun intervento chirurgico. Gli autori conclusero che il denosumab era efficace determinando un downstaging, quindi prevenendo o riducendo la morbilità della chirurgia. Tuttavia il follow-up (meno di 1 anno) era troppo breve per dimostrare in modo affidabile l'efficacia e la sicurezza della terapia (infatti dai dati storici le recidive locali nel TCG sono attese nei 12-18 mesi successivi all'intervento chirurgico). Recentemente, Chawla et al. [8] hanno ripresentato i risultati del loro studio di fase 2 con un follow-up a lungo termine (oltre 65 mesi) e ampliando la casistica a 532 pazienti. Gli autori riportano che solo l'11% dei pazienti con malattia non resecabile ebbero una progressione di malattia ma anche che 31 su 90 pazienti (34%) operati ebbero una recidiva locale dopo curettage. Venne anche segnalato un 4 % di evoluzione maligna (anche se i tre quarti di questi casi vennero a posteriori esclusi per errore diagnostico iniziale) Effetti del Trattamento.Il trattamento preoperatorio con Denosumab nel Tumore a cellule giganti (ma anche in altre lesioni ricche di cellule giganti come nelle cisti aneurismatiche e il granuloma centrale a cellule giganti) [1]può determinare:

1) la deplezione (fino alla scomparsa) delle cellule giganti
2) un significativo calo dell'indice proliferativo delle fibro cellule stromali tumorali (ma che peraltro continuano sempre a persistere all'interno della lesione)
3) una riduzione della vascolarizzazione della lesione con conseguente riduzione del sanguinamento
4) una crescita progressiva di tessuto fibroso, fibrocalcifico con comparsa di aree di metaplasia ossea.
5) talora una ricostituzione delle corticali ossee precedentemente erose, infiltrate e/o espanse dalla neoplasia ("neo-corticalizzazione" di spessore più o meno consistente) , ricostituzione dell'osso subcondrale articolare e/o più rapida consolidazione di infrazioni o fratture patologiche ("effetto di marginazione").
6) la metaplasia fibro ossea interna della lesione (più o meno estesa) e che può assumere talvolta una morfologia "a nido d'ape" con un effetto di "indurimento" della massa neoplastica
7) netto calo delle alterazioni cistiche intralesionali
8) quasi mai visibile una diminuzione di volume della lesione.

In caso di risposta, gli effetti diventano sempre più pronunciati quanto più viene prolungato il trattamento preoperatorio Seguendo la classificazione di Enneking, il trattamento può indurre il passaggio del tumore da uno stadio radiografico 3 (aggressivo) a uno stadio 2 (attivo) o addirittura 1 (latente) determinando un "down staging" chirurgico Tale effetto è sicuramente importante ,quasi essenziale, nel controllo dei casi inoperabili situati in sedi critiche (base cranica) o di dimensioni estese (sacro totale)e/o nel trattamento di eventuali metastasi multiple bilaterali polmonari .In tale esperienza con intento "curativo " , sono state peraltro registrate varie riprese di malattia alla sospensione del farmaco .Restano inoltre varie questioni ancora aperte e da definire (trattamento prolungato ad vitam ? continuativo o intervallato? dosi di attacco e di mantenimento ? effetti collaterali a lungo termine particolarmente in pazienti giovani ? rischio di degenerazione maligna ?)[ 9]

Risultati. In maniera utilitaristica, il trattamento preoperatorio con Denosumab è risultato anche utile nel caso di tumori operabili permettendo una minore aggressività chirurgica locale. Un chiaro effetto di downstaging fu evidenziato da Rutkowski et al.su 85 pazienti candidati inizialmente ad intervento di resezione in blocco, nel 46% (n = 39) divenne possibile un intervento di curettage e nel 36.5% (n = 31) non fu eseguito alcun intervento. [10] Ferrari e coll. su 90 casi candidati ad intervento (di 222 pazienti di cui 132 non giudicati chirurgici) il 70 % passò dalla preventivata resezione a un curettage, che la resezione fu facilitata dal trattamento nel 19 % dei pazienti e che il curettage fu agevolato nell'8 % dei casi. Gli effetti combinati di marginazione e indurimento possono rendere resecabile in blocco una lesione di stadio 3 aggressiva, usualmente di consistenza molle e friabile, racchiusa dal solo periostio, con grave rischio di contaminazione del campo operatorio o del cavo articolare durante le manovre chirurgiche (talora candidate in passato ad amputazione). In tale evenienza è consigliabile prolungare il trattamento preoperatorio per alcuni mesi (almeno 6 ma anche oltre) fino ad ottenere una risposta massima, con plateau evolutivo densitometrico stabile valutato tramite TC ed RNM. Contrariamente alle esperienze iniziali, risultati contrastanti sono stati invece ottenuti nei tumori di stadio 1, 2 (o 3) con effetto di marginazione e downstaging tale da rendere possibile un curettage in pazienti altrimenti candidati alla resezione. Infatti paradossalmente la percentuale di recidive locali dopo curettage risultò alquanto superiore nei pazienti trattati con Denosumab preoperatorio (48% ,64/133) rispetto a quelli operati classicamente d'amblè (18%;68/369). [11-19] . Il dato è stato confermato essere statisticamente significativo in una recente metaanalisi su 672 casi (odd ratio =3.04) [18] Questo fatto solo in parte può essere spiegato con il bias dovuto a un reclutamento "forzato" di interventi conservativi. Un altro motivo, da noi evidenziato [13,17] è proprio dovuto al cambiamento di consistenza del tumore sotto terapia. Il TCG "naive" infatti è di consistenza molle (tipo creme caramelle) facilmente aspirabile o estraibile con cucchiaio e grattabile dalla superfice interna dell'osso e la sua asportazione richiede una manualità gentile. Dopo terapia, (particolarmente se vi è una buona risposta o il trattamento viene prolungato a lungo) il tessuto può diventare duro, quasi gommoso, presentare aree interne calcifiche e/o ossee, con vari tralci e sepimenti (talora a nido d'ape) e aderire sempre più alla superfice interna dell'osso. Chirurgicamente si ha l'impressione di intervenire infatti su un'area di displasia fibrosa o un fibroma desmoplastico dell'osso. L'asportazione di tale tessuto richiede di conseguenza uno strumentario più invasivo (bisturi, scolla periostio, frese ad alta velocità) e una manualità più aggressiva. Per tale motivo talora il chirurgo è condizionato ad asportare la parte interna della lesione ma a lasciare in situ un guscio periferico, più o meno spesso, per non interrompere la continuità dell'osso e a rimuovere con meno efficacia il tessuto tumorale dagli anfratti ossei. Tale zona anche se sottile può contenere residui di cellule neoplastiche che al finire dell'effetto inibente del farmaco possono riproliferare dando origine alla recidiva locale Per limitare tale rischio nei casi operabili in cui si sceglie di eseguire il curettage vi possono essere tre diversi modi di procedere: 1) limitare la durata preoperatoria del trattamento al fine di avere solo un effetto parziale limitato alla sola migliore marginazione periferica della lesione "neocorticalizzazione"[ 23,24] 2) ricorrere sempre a un adjuvante locale che abbia un effetto in profondità e spessore, con effetto "transparete" (come la crioterapia) e non solo un effetto sterilizzante superficiale di contatto (come l'alcool,il fenolo,o l'argon) 3) negli stadi 1 e 2 continuare ad eseguire come sempre in passato il curettage tradizionale con adjuvanti locali e utilizzare il Denosumab solo nel postoperatorio nei casi a rischio o di dubbia recidiva iniziale (per non oltre 2 anni) 4)Alcuni AA riportano gli stessi risultati utilizzando l'Acido Zolendronico, con effetti di miglior marginazione (anche se non statisticamente significativi) ma costi molto più contenuti. [20-21 22]

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