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L'uso delle basse temperature per migliorare la salute delle persone e curare malattie localizzate o sistemiche affonda le proprie radici sin dagli albori della civiltà. Gli egizi usavano il freddo per curare infiammazioni e ferite già nel 2500 a.C.. In particolare, una prova di tale pratica è presente nel manoscritto noto come Edwin Smith Papyrus, dal nome del collezionista Edwin Smith che lo acquistò nel 1862. Risalente al Medio Regno dell'antico Egitto, è considerato il più antico trattato chirurgico esistente in tema di traumatologia. Nelle sue righe, gli scribi sottolinearono l'importanza del freddo per curare l'infiammazione conseguente a svariati tipi di trauma e lesione. In particolare, venne documentato l'uso di impacchi freddi per il trattamento di fratture del cranio e altre ferite da battaglia [1, 2].
Nell'antica Grecia, tra il V e il IV secolo, anche Ippocrate documentò l'uso di strumenti e medicamenti refrigerati. Sebbene Ippocrate sottolineasse i pericoli dell'esposizione prolungata alle basse temperature, denunciando il rischio di conseguenze quali convulsioni o cancrene, questi riconobbe il potenziale terapeutico del freddo. Prescrisse infatti ghiaccio e neve per curare gonfiore e dolore o per ridurre emorragie localizzate. Suggerí inoltre ai suoi pazienti di bere acqua fredda per abbassare la febbre [1, 3].
Le idee di Ippocrate influenzarono in modo significativo i suoi contemporanei e successivamente la medicina romana. Al medico romano Galeno, in particolare, venne attribuita l'invenzione di una crema fredda a base di acqua fredda, olio d'oliva e cera d'api che questi prescriveva a scopo rinfrescante nella cura della febbre [4].
Sebbene durante il medioevo la ricerca medica fosse diventata progressivamente più stagnante, anche in questo periodo storico furono fatti passi in avanti nell'uso delle basse temperature. Un libro miniato datato 1050 d.C. testimoniava come i monaci britannici usassero il freddo come anestetico locale, fornendo quella che è oggi considerata la prima forma di analgesia locale nella storia della medicina occidentale.
L'effetto anestetico del freddo venne poi riscoperto durante l'epoca napoleonica. Durante la storica ritirata da Mosca, il leggendario chirurgo di Napoleone, Dominique-Jean Larrey, notò come le amputazioni potessero essere eseguite in modo pressoché indolore se l'arto fosse stato raffreddato nella neve prima dell'operazione. Più tardi, a metà del 19° secolo, l'inglese Dr. Richardson prese spunto dall'osservazione di Larrey e da questa trasse spunto per inventare il primo spray etereo: un agente anestetico locale per il trattamento di traumi acuti e dolori locali. Forme più moderne e sofisticate di questo spray, basate sul cloruro di etile, sono tutt'ora usate nella comune pratica clinica [5].
L'epoca industriale e il contributo di James Arnott Lo scoppio della rivoluzione industriale nel 19° secolo aprí la strada ad una serie di innovazioni tecnologiche che resero la refrigerazione sempre più efficiente ed economica. Altrettanto importante fu il fiorire in tutta Europa di consigli scientifici medico-chirurgici e delle prime riviste specializzate, che favorirono la diffusione di esperienze e idee nel panorama medico.
Un ruolo fondamentale nella nascita della crioterapia come la conosciamo oggi viene attribuito al medico inglese James Arnott (1797-1883), che tra il 1819 e il 1879 pubblicò numerosi articoli sull'uso del freddo in medicina. Fratello di uno scienziato che aveva già trovato fortuna e fama inventando la stufa a combustione lenta, Arnott intuí che le potenzialità benefiche del freddo potevano risultare utili nella pratica clinica quanto in quella chirurgica. Era infatti convinto che una temperatura molto bassa fosse in grado di arrestare l'infiammazione e ridurre un'eventuale ipervascolarizzazione [6-8].
Arnott fu il primo nella medicina moderna ad applicare localmente il freddo estremo per provocare la distruzione dei tessuti e, a tal fine, progettò strumenti specifici per generare ed applicare temperature che raggiungessero anche i -24°C. Per raggiungere una temperatura ben al di sotto degli zero gradi, utilizzò una miscela di sale e ghiaccio tritato ("due parti di ghiaccio finemente tritato ed una parte di cloruro di sodio"). La sua attrezzatura era costituita da un cuscino impermeabile applicato sulla pelle, da due lunghi tubi flessibili per consentire il flusso d'acqua da e verso la parte interessata e da un serbatoio per la miscela acqua/ghiaccio. Questo kit venne esposto alla Great Exhibition di Londra tenutasi nel 1851, valendo ad Arnott una medaglia [8]. Sebbene il dispositivo di Arnott potesse risultare ingombrante e la sua capacità di congelamento non possa essere paragonata a quella dei macchinari moderni, consentiva un concreto utilizzo nel trattamento di diverse patologie. Acne, nevralgie e mal di testa furono tra le prime patologie trattate mediante crioterapia. Non ci volle molto prima che Arnott identificasse le lesioni cancerose come possibili target per la sua nuova invenzione. In particolare, venne proposto e messo in pratica l'utilizzo della crioterapia con finalità di palliazione dei tumori accessibili in stadio avanzato, come quelli originati dalla mammella, dalla cervice uterina o dalla cute. Il congelamento fu utilizzato principalmente per ridurre il dolore e la tendenza all'emorragia, ma anche per ridurre le dimensioni della neoplasia. Arnott aveva infatti intuito come il congelamento potesse arrestare l'infiammazione che accompagna la neoplasia ed intaccare la vitalità delle cellule tumorali [9].
Da Arnott a Irving S Cooper e la moderna crioterapia
Le idee di Arnott aprirono la strada alla crioterapia come la conosciamo oggi. Nei decenni che seguirono, i trattamenti a bassa temperatura progredirono di pari passo con la tecnologia e la conoscenza medica di base. Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, scienziati di Europa e Nord America svilupparono sistemi di raffreddamento diversi e sempre più sofisticati. Un importante contributo alla crioterapia per scopi oncologici fu dato in particolare dal neurochirurgo di Filadelfia Temple Fay. Tra il 1936 e il 1940, Fay impiantò capsule di metallo all'interno del cranio di pazienti con tumori cerebrali inoperabili. Queste capsule vennero collegate a un sistema di irrigazione esterna a freddo per congelare le lesioni, riducendone le dimensioni e fornendo sollievo dal dolore [9, 10].
Nonostante il lavoro di questi pionieri, i tempi non erano ancora maturi per un uso su larga scala della crioterapia. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale si ebbe un netto incremento in letteratura di studi (in vitro e su modelli animali) riguardanti gli effetti del congelamento sui tessuti. Negli stessi anni nuovi sviluppi tecnologici portarono a metodologie di congelamento ancor più efficaci ed economiche. Tuttavia, si dovette attendere fino agli anni '60 perché questi progressi (medici e tecnologici) si incontrassero dando vita alla moderna criochirurgia. Oggi si ritiene che la criochirurgia moderna sia iniziata grazie al lavoro collaborativo di un medico, Irving Cooper, e di un ingegnere, Arnold Lee. I due costruirono un apparato criochirurgico innovativo ed automatizzato, raffreddato ad azoto liquido. Questo sarebbe poi diventato il prototipo per tutti i successivi e più moderni macchinari ad azoto liquido. Costituita da tre lunghi tubi concentrici, la sonda era alimentata con azoto proveniente da una sorgente pressurizzata. Il tubo interno fungeva da condotto per il flusso dell'agente criogenico fino alla punta della sonda, mentre lo spazio tra il tubo interno e il tubo centrale consentiva il ritorno dello stesso. Lo spazio tra il tubo esterno e il tubo centrale era isolato sottovuoto ed aveva possibilità di schermatura consentendo all'azoto liquido di essere condotto senza perdita di calore alla punta della sonda. Quando applicata al tumore, la sonda consentiva una refrigerazione rapida e continua. Il contributo di Cooper non si limitò alle innovazioni dal punto di vista tecnico, ma ebbe anche intuizioni significative sia dal punto di vista teorico che clinico. Cooper fu il primo a dichiarare che mantenendo un tessuto a -20°C per 1 minuto, questo sarebbe stato indotto ad una condizione di necrosi. Ebbe inoltre un ruolo nello stabilire le caratteristiche di base della odierna tecnica criochirurgica, quali il congelamento rapido, lo scongelamento lento e la ripetizione dei cicli di congelamento-scongelamento. A corollario di questi concetti, nella comunità medico-scientifica si aprí presto un dibattito per definire l'appropriata dosimetria temperatura-tempo e il numero più corretto di cicli di gelo-disgelo a cui sottoporre le lesioni [11-17].
Il lavoro di Cooper aprí ad un uso più ampio della crioterapia in diversi rami della chirurgia oncologica per i decenni a venire. L'azoto liquido è stato il criogeno più diffuso dall'inizio degli anni '50 fino alla fine del 20° secolo, grazie alle basse temperature che consentiva di raggiungere (-197°C), e che lo rendevano adatto per lesioni sia benigne che maligne [9]. Dall'inizio del nuovo millennio, i dispositivi di raffreddamento ad azoto sono stati progressivamente sostituiti con dispositivi di raffreddamento ad argon-elio. Il raffreddamento mediato dall'argon sfrutta il fenomeno Joule-Thomson e (a differenza del raffreddamento con azoto) non prevede alcun cambiamento di stato della sostanza criogenica e non induce la formazione di barriere fisiche tra quest'ultima e la sonda. L'argon permette una ancor migliore stabilità delle temperature di raffreddamento e permette uno scongelamento attivo e più rapido mediante introduzione di gas elio alla temperatura di 35°C. Inoltre, i dispositivi di raffreddamento ad argon consentono l'impiego di sonde di dimensioni e diametro inferiori rispetto a quelli dei macchinari raffreddati ad azoto. Ciò si traduce potenzialmente in una migliore manovrabilità ed una maggiore precisione intraoperatorie [18, 19].
Oggi la criochirurgia rappresenta un'opzione affidabile per pazienti selezionati affetti da malattie neoplastiche della pelle, dei polmoni, della mammella, dei sistemi genitali, dei reni, del fegato e, tra gli altri, dell'apparato muscolo-scheletrico.
BIBLIOGRAFIA
1. Korpan NN. A history of criosurgery: its development and future. J Am Coll Surg. 2007 Feb;204(2):314-24.
2. Breasted JH. The Edwin Smith surgical papyrus. Vol III. Chicago: University of Chicago, Oriental Institute Publications; 1930:72,73.